Corte di Cassazione, penale, Sentenza|8 giugno 2022| n. 22203.
Reati militari ai fini della condizione di procedibilità
In tema di reati militari, ai fini della condizione di procedibilità di cui all’art. 260 cod. pen. mil. pace, il “comandante del corpo”, organo legittimato alla richiesta di procedimento davanti al giudice penale militare, si identifica con il soggetto concretamente investito della potestà organizzativa e disciplinare sull’articolazione presso la quale il militare presta effettivamente servizio, non assumendo rilevanza il rapporto di appartenenza organica con l’ente di provenienza. (Fattispecie relativa a reati commessi da militare organicamente appartenente al Policlinico militare di Roma, ma all’epoca del fatto in servizio in Afghanistan presso la “Task Force Arena”).
Sentenza|8 giugno 2022| n. 22203. Reati militari ai fini della condizione di procedibilità
Data udienza 23 febbraio 2022
Integrale
Tag – parola: REATI MILITARI
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZAZA Carlo – Presidente
Dott. FIORDALISI Domenico – Consigliere
Dott. BIANCHI Michele – Consigliere
Dott. MAGI Raffaello – Consigliere
Dott. RENOLDI Carlo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte militare di appello di Roma in data 10/11/2020;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Renoldi Carlo;
letta la requisitoria scritta presentata ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, con cui il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale militare, Dr. Ufilugelli Francesco, ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso.
Reati militari ai fini della condizione di procedibilità
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 10/11/2020, la Corte militare di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale militare di Roma in data 12/6/2019 con la quale (OMISSIS) era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di 3 mesi di reclusione militare in quanto riconosciuto colpevole di ingiuria aggravata per avere, nella sua qualita’ di ufficiale medico in servizio, in data (OMISSIS), presso il (OMISSIS) della Task Force (OMISSIS) (Afghanistan), offeso il prestigio e la dignita’ del maresciallo (OMISSIS), bloccandola e obbligandola a ricevere un bacio, con l’aggravante di essere militare rivestito di un grado e di aver commesso il fatto in territorio estero.
2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione lo stesso (OMISSIS) per mezzo del difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), la inosservanza o erronea applicazione dell’articolo 129 c.p.p. e articolo 260 c.p.m.p., perche’ l’azione penale non poteva essere esercitata per difetto della condizione di procedibilita’. La richiesta di procedimento, formulata ex articolo 260 c.p.m.p., costituente condizione di procedibilita’ del delitto di cui all’articolo 226 c.p.m.p., sarebbe stata esercitata dal colonnello (OMISSIS), quale comandante della Task Force (OMISSIS) e ufficiale di polizia giudiziaria militare in (OMISSIS) (Afghanistan). Tuttavia, all’epoca dei fatti, (OMISSIS), pur comandato in missione presso l’ospedale da campo “(OMISSIS)” in (OMISSIS), sarebbe stato organicamente inserito nel (OMISSIS), sicche’ l’esercizio di quella facolta’ avrebbe dovuto competere al comandante dell’Ospedale militare “(OMISSIS)” ovvero, in via subordinata, al comandante di TAAC West o al comandante della Forward Support Base.
Reati militari ai fini della condizione di procedibilità
Infatti, l’ordinamento militare prevedrebbe l’istituto del distaccamento o della temporanea aggregazione di un militare presso altra struttura, in forza del quale non si realizzerebbe un nuovo rapporto di appartenenza organica, posto che il militare continuerebbe a essere inquadrato presso l’ente di provenienza, cui tornerebbe al termine del periodo prefissato, sicche’ la facolta’ di richiesta di procedimento di cui all’articolo 260 c.p.m.p. spetterebbe al solo “comandante del corpo” di appartenenza organica, anche quando il militare sia temporaneamente aggregato presso altro corpo.
Sotto altro profilo, in via subordinata, si evidenzia che secondo la catena di comando e di controllo della missione Resolute Support “dipendono dal Comandante di TAAC W l’assetto sanitario da campo “(OMISSIS)” nonche’ le unita’”. Inoltre, nel TAAC West erano presenti due assetti nazionali: la Task Force (OMISSIS) e il Forward Support Base, dal quale dipendeva il “Comando sanitario di Contingente comprendente gli assetti sanitari presenti presso il TAAC West: un pronto soccorso e infermeria ((OMISSIS)), nucleo disinfettori ecc.”. Per tale ragione, la facolta’ di richiesta di procedimento avrebbe dovuto essere esercitata dal comandante di TAAC West o, in subordine, dal comandante del Forward Support Base e non dal comandante della Task Force (OMISSIS), colonnello (OMISSIS).
2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la inosservanza o erronea applicazione dell’articolo 47 c.p. e articolo 226 c.p.m.p., nonche’ la mancanza della motivazione. La sentenza impugnata, pur sollecitata sul punto, avrebbe omesso di considerare l’errore sul fatto in cui sarebbe incorso l’imputato, il quale, male interpretando i rapporti con la persona offesa, avrebbe avuto piena consapevolezza di quanto la sua condotta fosse inopportuna e non gradita soltanto dopo averla realizzata.
Reati militari ai fini della condizione di procedibilità
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato e, pertanto, deve essere respinto.
2. Muovendo dall’analisi del primo motivo di censura, giova ricordare, preliminarmente, che l’articolo 260 c.p.m.p., rubricato “richiesta di procedimento”, stabilisce, al comma 2, che i reati per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione militare non superiore nel massimo a sei mesi, tra i quali rientra anche quello previsto dall’articolo 226 c.p.m.p., sono puniti a richiesta del “comandante del corpo” o di altro ente superiore, da cui dipende il militare colpevole, o, se piu’ sono i colpevoli e appartengono a corpi diversi o a forze armate diverse, dal “comandante del corpo” dal quale dipende il militare piu’ elevato in grado, o ancora, a parita’ di grado, il superiore in comando o il piu’ anziano. Una scelta, questa, che risponde a criteri di certezza e razionalita’, affinche’ sia sempre identificabile il soggetto titolare del potere di scelta e apparendo giustificato che sia rimessa al comandante del corpo la valutazione dell’opportunita’ o meno di perseguire condotte di limitato disvalore, contemplate nei reati individuati dal citato articolo 260 (Sez. 1, n. 22699 del 14/4/2004, Cogoni, Rv. 228506 – 01; Sez. 1, n. 12127 del 28/10/1985, Barbagallo, Rv. 171370 – 01; sostanzialmente in termini Sez. 1, n. 12567 del 3/3/2015, Salera, Rv. 263182 01).
2.1. Nel caso di specie, cio’ che e’ contestato dalla difesa riguarda la individuazione del “comandante di corpo”, il quale, secondo la tesi sviluppata nel ricorso, avrebbe dovuto essere individuato nel direttore del Policlinico militare “(OMISSIS)” di Roma, quale comandante del reparto di provenienza dell’ufficiale. Cio’ alla luce del principio secondo cui la facolta’ di richiesta di procedimento di cui all’articolo 260 c.p.m.p., spetta esclusivamente al comandante del corpo di appartenenza organica, anche quando il militare sia temporaneamente aggregato presso altro corpo (Sez. 1, n. 12127 del 28/10/1985, Barbagallo, Rv. 171370 01).
In realta’, secondo quanto stabilito dal Decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, articolo 726 (recante il “Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, a norma della L. 28 novembre 2005, n. 246, articolo 14”), il comandante del corpo e’ il soggetto che, sul piano organizzativo-ordinamentale, e’ direttamente responsabile della disciplina, dell’organizzazione, dell’impiego, dell’addestramento del personale nonche’ della conservazione dei materiali e della gestione amministrativa e del compito di curare il benessere morale e materiale dei militari, di imprimere vivacita’, puntualita’ e ordine alla vita di caserma, di disciplinare i servizi interni ed esterni.
Inoltre, egli ha funzioni di polizia giudiziaria militare per i reati soggetti alla relativa giurisdizione e, appunto, ha il potere discrezionale circa la richiesta di procedimento penale davanti al giudice militare o il perseguimento della via disciplinare per i reati militari punibili con un massimo di 6 mesi di reclusione.
Ne consegue che ai fini della individuazione di tale figura deve aversi riguardo al soggetto che e’ concretamente investito della potesta’ organizzativa e disciplinare sull’articolazione militare de qua e non certo il soggetto che e’ posto al vertice dell’ente di provenienza dell’agente; di tal che il militare impegnato in missione internazionale, pur mantenendo il rapporto di appartenenza organica con l’ente di provenienza, cui sara’ eventualmente riassegnato alla conclusione della missione, diventa funzionalmente dipendente dell’ente presso il quale presta effettivamente servizio, venendo sottoposto alla relativa competenza disciplinare. E cio’ in quanto appare indispensabile che i delicatissimi compiti assegnati al comandante di corpo siano attribuiti al militare posto al vertice dell’ente ove presta servizio il sottoposto, dovendo il fatto di rilievo penale o disciplinare essere valutato da un organo inserito pienamente nel contesto militare dove l’illecito puo’ essersi consumato, tanto piu’ quando, come nel caso di specie, l’episodio sia accaduto in un teatro operativo come l’Afghanistan, a migliaia di chilometri di distanza dalla sede di servizio dell’imputato, si’ da rendere impensabile un intervento dell’ente di originaria assegnazione, totalmente estraneo allo specifico contesto operativo.
Per tale ragione, con l’assunzione di (OMISSIS) in forza ad un altro ente militare rispetto a quello di provenienza, individuato nel TAAC West, a sua volta dipendente della Forward Support Base (FSB), le funzioni di “comandante di corpo” dovevano essere effettivamente attribuite, ai fini che qui rilevano, al comandante della Task Force (OMISSIS) e non al direttore del Policlinico militare “(OMISSIS)” di (OMISSIS).
2.2. Quanto, poi, alla tesi difensiva espressa in via subordinata, la sentenza impugnata ha evidenziato come nella nota riservata del 25/10/2018 a firma del Comandante del Comando operativo del Vertice interforze fosse indicato, esplicitamente, quale “comandante di corpo” del capitano (OMISSIS), il colonnello (OMISSIS), quale comandante della Task Force (OMISSIS), secondo la linea di dipendenza gerarchica in vigore dal gennaio 2017 nel TAAC West. Una ricostruzione, attestata in documenti ufficiali, che il ricorso non e’ riuscito a disarticolare attraverso pregnanti argomenti giuridici, essendosi lo stesso limitato a ribadire la tesi gia’ espressa in sede di appello, senza ulteriori, convincenti, considerazioni giuridiche.
3. Manifestamente infondato e’, poi, il secondo motivo di censura.
La sentenza impugnata, invero, ha puntualmente evidenziato gli elementi di fatto indicativi di un atteggiamento insistentemente molesto gia’ in precedenza assunto dall’imputato all’indirizzo del militare subordinato, il quale aveva reiteratamente mostrato di non gradire le profferte da parte del superiore, secondo quanto reso manifesto dai numerosi messaggi scambiati tra i due con i rispettivi apparecchi cellulari e puntualmente riportati in motivazione.
Le doglianze prospettate, sul punto, nell’odierno ricorso sono di natura eminentemente fattuale e si sostanziano in una non consentita rivalutazione del materiale probatorio posto a fondamento della pronuncia di condanna, il quale, come detto, appare di chiaro e incontestabile significato.
4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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